martedì 12 novembre 2013

La Farfalla disonorata



"Fare film sul calcio è difficile". L'affermazione - sacrosanta - è talmente diffusa nell'ambiente che gli autori della fiction "La Farfalla Granata", andata in onda lunedì su Rai Uno, devono averla presa alla lettera, non provandoci nemmeno. Non si spiegherebbe altrimenti la tristissima sequenza di inesattezze, castronerie, sciattezze, disattenzioni, stupidità che hanno caratterizzato il racconto della vita di Gigi Meroni, grande ala destra di Genoa e Torino, un George Best italiano arrivato con qualche anno di anticipo e scomparso a 24 anni.

Stereo Otto si è seduto in poltrona armato di pazienza, sapendo che spesso, per ragioni di sceneggiatura, la verità storica viene un po' distorta (anche The Damned United, uno dei film sul calcio giocato meglio riusciti di sempre, modifica il calendario delle gare del Derby County per rendere più scorrevole la vicenda). Inezie perdonabili. Ma qui abbiamo visto ben di peggio.

L'inizio non promette bene: siamo nell'estate del '62; Meroni è appena stato ingaggiato dal Genoa e si appresta a raggiungere il capoluogo ligure. La sorella gli ricorda di portare con sé i dischi: "Anche quelli dei Beatles". Meroni ammicca: "Sentiremo parlare molto di loro". Esatto, sentiremo: in quelle settimane, i Fab Four non avevano ancora ingaggiato Ringo Starr e stavano preparandosi a incidere il loro primo disco (quello che Gigi possiede già) nel mese di settembre. E vabbè, il solito occhiolino al pubblico, evidentemente è un trucco da sceneggiatori.

Dopo pochi minuti, però, il protagonista scende in campo per il primo allenamento con la nuova squadra. Gigi esce dal tunnel degli spogliatoi, e si guarda attorno spaesato. Per forza: quello in cui si trova non è il Ferraris di Genova (il quale, va detto, dopo i lavori per Italia '90 ha completamente cambiato fisionomia rispetto agli anni '60), ma l'Olimpico di Torino. Proprio quello di oggi, l'ex Comunale, con tanto di seggiolini di plastica, vetri antisfondamento e prato perfettamente rasato. La cinepresa indugia su una panoramica a 360 gradi dell'impianto. Sono 5 secondi che durano 5 ore per il nostro stomaco, e ci chiediamo se la terribile sequenza sia frutto di ignoranza o di incuria: il prodotto, risulterà nel corso della visione, è infatti chiaramente pensato per un pubblico femminile che in quanto tale non sa nulla di calcio e molto di vicende amorose. Questo, ovviamente, nella modernissima mentalità degli sceneggiatori di fiction Rai. Di fronte a ciò, ci limitiamo a volare a pelo d'erba sui tifosi del Genoa che parlano un perfetto dialetto milanese e sul fatto che Beniamino Santos sia allenatore dei rossoblu in quella stagione (arriverà solo nel 1963). 

Meroni, suo malgrado, cambia aria: passa al Torino per una cifra record, e lo ritroviamo in un allenamento guidato da Nereo Rocco (Francesco Pannofino, che riesce a salvare almeno questa parte di film, malgrado il copione gli infili in bocca, nel giro di cinque scene, tutto il repertorio di aforismi del "Paròn"). Non siamo allo stadio Filadelfia (utilizzato peraltro in un'altra fiction da storcere il naso, quella sul Grande Torino), ma nel giardino di una misteriosa villetta di campagna, in cui vedremmo meglio una partita di badminton tra gentlemen inglesi. Nonostante i nostri timori, nessun vetro si frantuma per le pallonate. Il premio della scena più lisergica va però all'Inter-Torino in cui Meroni segna il gol più bello della sua vita: la sceneggiatura trasporta di peso la gara a Torino anziché a San Siro, e dopo il fischio d'inizio il parroco di Como irrompe in tribuna per comunicare a Cristiana, la ragazza di Gigi, che la Sacra Rota ha annullato il suo precedente matrimonio. Nel frattempo, la Nazionale di Mondino Fabbri fa una figuraccia al Mondiale e viene accolta in Italia dal lancio di pomodori da parte di contestatori in cappotto, guanti e cappello. A luglio.

Sempre al Comunale/Olimpico di Torino (coi suoi bei seggiolini puliti e moderni, e gli spalti coperti) va in scena Toro-Sampdoria, l'ultima partita di Meroni. La "Farfalla" trasforma un rigore che nella realtà non c'è mai stato, poi viene sostituito da Agroppi (ma le sostituzioni vengono introdotte in serie A solo nel 1969: cosa, peraltro, che svuota di ogni senso il concetto di "panchinaro" che ricorre lungo tutto il film). Pazienza. Ma a un certo punto si sente una radio che annuncia: "Per Torino-Sampdoria, linea a Sandro Ciotti". Vediamo così un radiocronista per nulla somigliante all'originale, che tenta di imitarne la voce roca con risultati che rivalutano istantaneamente il lavoro di centinaia di imitatori di provincia esibitisi in innumerevoli sagre della porchetta. 

E' l'ultimo, micidiale fendente. Meroni non meritava di essere ricordato con un fotoromanzo degno di Grand Hotel, ma nemmeno meritavano un trattamento simile gli appassionati di calcio. Che speravano di vedere non la cronaca di una carriera sportiva, ma almeno un po' di rispetto per il gioco che ha reso grande la Farfalla granata.

1 commento:

  1. Ciao, bel blog e ottima recensione, sul mio ho scritto sullo stesso tema e direi che la pensiamo esattamente allo stesso modo, punto per punto, con particolare riferimento all'aspetto calcistico letteralmente schiacciato da quello "rosa". Aggiungerei la recitazione approssimativa di molti attori. Insomma, una brutta pagina di televisione.

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